Racconto sul Braille. Il braille attraverso le dita di una bambina. C'era una volta una bambina, ma questa non è una favola, è solo il racconto di un estratto di vita, il suo nome potrebbe essere Francesca o Chiara, come decine di migliaia di sue coetanee, ma non ha importanza sapere come si chiama, giacché il nome non le avrebbe certo cambiato l'esistenza. Ciò che importa è che quella bambina, una normale bambina, soltanto con qualche millimetro quadrato del suo corpo non funzionante, costituito dalle retine, iniziò a frequentare la scuola elementare con altri suoi coetanei, con i quali divideva gioie ed entusiasmi, sogni e giochi, ma con i quali non poteva correre ed andare in bicicletta. Un giorno la maestra lesse un breve brano dal libro di testo e lo dettò agli alunni: mentre il punteruolo della piccola saltellava da un punto all'altro della tavoletta i dubbi si moltiplicavano proprio come i puntini che andava incidendo sul foglio. "la parola taccuino si scriveva come acqua, con la c e subito dopo la q, o con la doppia c?" E acquisto?...Chissà se era giusto scriverla così!". Molti suoi dubbi si trasformarono in altrettanti errori quando la maestra corresse i compiti: i suoi compagni di classe erano avvantaggiati, avevano potuto leggere le parole sul libro, mentre lei le doveva necessariamente memorizzare. Quando, però, le consegnarono finalmente il suo libro in braille e la bambina poté sentire sotto i polpastrelli quelle parole, le imparò più in fretta di molti suoi coetanei vedenti: iniziò così un periodo in cui la scolaretta divorava avidamente con le piccole dita ogni foglio puntinato che le capitava in mano, trascorrendo interi pomeriggi nella sua stanza assorta nella lettura di avventure fantastiche e di storie vere, di poesie e racconti, di descrizioni di animali sconosciuti e luoghi lontani. Passarono gli anni, aumentarono gli impegni scolastici e la bambina, nel frattempo diventata una ragazza, scoprì che studiare le lingue straniere le avrebbe aperto un orizzonte di nuove amicizie e conoscenze. Intanto i libri venivano registrati su nastri magnetici da voci esperte e gradevoli: "il braille sta andando in pensione.!", le dicevano e lei, entusiasta del nuovo sistema di studio, si lasciò persuadere, sia pure un po' a malincuore, a liberare la sua stanza da quegli enormi volumi puntinati che l'avevano accompagnata per tutta l'infanzia, sostituendoli, nella libreria, con centinaia di cassette; le sue giornate, negli anni che seguirono, furono così scandite da mille voci, dalle quali la giovane apprendeva ciò che le serviva sapere per la scuola e per la vita. Un giorno, durante una delle prime verifiche scolastiche dell'apprendimento della lingua inglese, l'insegnante dettò: "where were you born?": la ragazza aveva sentito innumerevoli volte quella frase nei dialoghi nel registratore che aveva sulla sua scrivania, ne conosceva bene il significato, ma si smarrì ugualmente, chiedendosi quale differenza vi fosse tra le due parole dal suono simile. "Dove andava inserita la lettera H? Nel primo o nel secondo "were"? Un libro in braille, che ottenne al termine di lunghe ricerche, dissipò il dubbio: le "H" trovarono finalmente il loro posto all'inizio o in mezzo alle parole di quella lingua così diffusa ma per lei principiante così complicata. Con il francese non ebbe vita più facile: chi aveva dimestichezza con questa lingua sicuramente riusciva a cogliere le diferenze fonetiche, ma lei, italiana, abituata ad un solo accento da mettere al termine di alcune parole, mal tollerava tutta quella varietà di accenti che i transalpini usavano praticamente dappertutto. Eppure, ancora una volta, il contatto con le lettere puntinate del braille le fece comprendere a pieno che non era poi così complicato distinguere una "é" da una "è" e che, anzi, dava alla lingua una particolare caratteristica che faceva percepire i suoni delle sillabe più dolci e musicali. Fra innumerevoli difficoltà ma anche tante soddisfazioni, la ragazza ottenne il titolo di studio che tanto desiderava; con l'età adulta arrivarono altre novità che, ancora una volta, avrebbero rivoluzionato la sua vita, ma che non le tolsero dal cuore la nostalgia per il suo vecchio intramontabile braille, per quei puntini in rilievo che le facevano sentire tutta la forza e l'intensità delle parole che scorrevano fluide sotto le sue dita. Ancora oggi, quando la donna riprende in mano uno di quei volumi di carta puntinata, come per incanto, torna a provare emozioni che sembravano ormai sopite: riaffiorano nella sua mente i ricordi piacevoli di tante e tante letture dei tempi passati. Sulla sua scrivania non c'è più il registratore portatile, al posto del quale si trova un lettore CD, la tavoletta ed il punteruolo sono nel cassetto, sostituiti dalla tastiera di un computer, le cassette ed i libri in braille sono finiti in soffitta ed hanno -fatto posto ai floppy disk, ai CD ed ai DVD e le parole sono dei suoni freddi ed atoni che escono da parallelepipedi in plastica e non più dei puntini da sfiorare con le dita. Ma una sintesi vocale, per sofisticata e moderna che sia, spesso non rivela esattamente come si scrivono le parole: da quella voce artificiale non si comprende se su una lettera c'è un accento acuto, grave o circonflesso, non sempre si riescono a percepire le doppie consonanti o vocali presenti in una parola e "where" o "were", lette in lingua italiana, hanno lo stesso suono. Così sulla scrivania dell'ex studentessa c'è anche una barra braille, l'unico strumento, nell'era della tecnologia informatica, in grado di farle sentire, proprio come se le leggesse con gli occhi, le parole come le scrivono le persone che vedono, con l'unica differenza che al posto dei segni tracciati dalla penna ci sono puntini sollevati. La vita scorre ed il progresso tecnologico porta via con sé gli strumenti del passato che considera non più utili nel presente, ma quel passato, per la donna, è ancora presente: lo ritrova sui tasti degli ascensori, sulle scatole dei farmaci, su alcuni oggetti che usa tutti i giorni; sono lì a ricordarle che l'era del braille, dopo due secoli, è ancora lontana dal concludersi e che nel mondo i non vedenti hanno ancora bisogno di quel codice. patrizia onori